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di Wu Ming 2 Era
il classico lavoro “che gli italiani non vogliono fare più”. Grazioso
eufemismo. Come se altri popoli non vedessero l'ora. Traduzione: solito lavoro
di merda. Di quelli che gli italiani possono ancora permettersi di rifiutare. Tu
no. Specie quando ne hai appena perduto uno, e tempo sei mesi devi collezionarne
un altro, altrimenti aria, perché
di lavori che gli italiani non vogliono fare più ce ne sono a strafottere, e se
resti disoccupato significa che non ti vuoi applicare. Puoi stare in Italia, ma
senza tirartela da italiano. Punto. Per
di più, la ditta può rimediarti una vera casa, dimensioni sufficienti per
chiedere il ricongiungimento familiare, un rustico in mezzo alla campagna, mal
ridotto ma abitabile, con la Porcilaia a cinquanta metri dalla finestra di
cucina, in compenso la stanza da letto spalancata su un filare di pioppi,
ingialliti dall'autunno e dal tramonto. Al
puzzo, ci si può abituare. Milioni di persone respirano l'irrespirabile senza
battere ciglio. I
maiali, almeno, sono roba naturale. From:
Stab.C.Buratto To: direzione@fattorieriunite.com Subject: trattam.
post-gravidanza --------------------------------------------------- Egr. Dott. Marano, desidero informarla che il
nuovo trattamento post-gravidanza è
stato sperimentato con successo nel corso dell'ultimo mese, secondo la seguente
posologia: Subito dopo lo svezzamento
della figliata, ogni scrofa riceve due iniezioni: 2 cc. di PG 600 (Intervet) e 3
cc. di siero generico con gonadotropina per giumente gravide (PMSG). Il tutto, a
un costo di 2.60 euro/scrofa. Se le scrofe non mestruano entro 21 giorni,
ricevono un'ulteriore iniezione di 5 cc. di PG 600 a un costo approssimativo di
5 euro/dose. Circa il 10% delle scrofe riceve questo secondo trattamento. Se non mestruano entro 24
giorni, le scrofe vengono eliminate. Infatti, come sostiene
J.P.Mangoose in Successful Farming, "ogni scrofa che non sia
gravida, non allatti, o non si trovi nei sette giorni post-svezzamento è da considerarsi non attiva" Cordiali Saluti, S. De Biase Ho
cominciato a lavorare alla Porcilaia all'inizio di novembre. Tre quattro giorni
e già sperimentavo le prime mutazioni. Il fetore dei porci doveva aver
innescato una qualche reazione chimica. Cellule di epidermide sostituite per
sempre da scago suino. Mattina
dopo mattina, mi davano il buongiorno millecinquecento maiali
La visione d'insieme era impressionante. Grugni, schiene, orecchie
porcine affollavano quattro recinti come vermi in un sacchetto da pescatore. Ma
il brulicare degli animali rinchiusi non aveva nulla di naturale, niente che
ricordasse una folla spontanea, un gregge, l'incessante andirivieni dei
formicai. Grossi maschi rosicchiavano le sbarre per intere giornate, scrofe
deformi biascicavano aria, trascinando pance gravide su fetidi pavimenti a
graticcio mentre le bestie più giovani reclamavano spazio per girare su sé
stesse come mosche ubriache di caldo. L'unico paragone che affiorava al
cervello, quando mi incantavo a fissare quel mare di carne, erano i matti
allucinati di un salone di manicomio. Il
pavimento a graticcio degli allevamenti suini sembra avere più meriti che
svantaggi. L'animale
di solito viene macellato prima che compaiano deformazioni serie. Farmer
and Stockbreeder, giugno 98 Egr.
Dott. Marano, desidero
informarla che da quest'oggi, nello stabilimento di Castel Buratto, è in corso
la sperimentazione del nuovo modulo informatico per la gestione dei processi
produttivi. Attraverso l'uso di macchine a controllo remoto, gli addetti
potranno nutrire, prelevare, inseminare, trasportare e infine macellare ogni
tipo di suino senza essere costretti ad avvicinarsi ai recinti. Ciò dovrebbe
garantire un miglioramento degli standard di sicurezza interni, peraltro già
molto elevati, e soprattutto far registrare un aumento della produzione pari a
0,82 nati/anno per scrofa e a 4372 chili di carne suina pronta per la
distribuzione. Non
ci volle molto perché l'aerosol quotidiano a base di miasmi suini finisse per
influire sul mio modo di fare sesso. Detto meglio: mi passò proprio la voglia.
E non solo di quello. Mi passò la voglia di fare un sacco di cose. Ora non so
se il problema fosse più il puzzo, o qualche sostanza chimica disciolta nello
scagazzo, o l'interazione quotidiana con migliaia di porci. Forse quest'ultima.
Fatto sta che per otto ore al giorno sentivo più grugniti che parole. I
contatti con le bestie erano regolati da procedure, studiate per non farti
pensare che avevi a che fare con esseri animati, quando portavi le scrofe nelle
gabbie parto, settanta centimetri di larghezza,
o un porco ben ingrassato sul nastro per il macello. Di
tutte le schifezze che ci toccava fare, la peggiore in assoluto si chiamava
prelevamento. Prelevamento può essere una bestia da portare al mattatoio, o dal
veterinario, o all'inceneritore, se per caso non ha retto ed è schiattata là
in mezzo, nel cuore rosamerdo del recinto. I poveracci a cui toccava, ne
uscivano quasi sempre con un morso da qualche parte e il terrore negli occhi.
Per questo, salutammo con applausi sinceri la prima dimostrazione pratica delle
straordinarie capacità di Pigpicker®, un braccio meccanico a controllo remoto
capace di afferrare la bestia giusta e scodellarla fuori dal recinto come una
forchettata di spaghetti. Restava
un lavoro di merda, per carità, ma Pigpicker® era un bel regalino. Un
mazzo di rose nella mano che ieri ti ha mollato un ceffone. Poi,
come un manrovescio, il fetore ti riportava alla realtà: non c'era niente di
asettico in quel posto schifido, niente di pulito, niente che potesse ingannare
i sensi su quello che il corpo stava facendo. Fanculo le procedure. L'unica
soluzione era non pensare, non pensare, non pensare. Solo che il cervello ci
prendeva gusto. Il cervello smetteva di pensare anche alla cena, alla spesa,
alle tette di una moglie desiderosa di considerazione. Spariva tutto. Angoscia e
desiderio. Tutto tranne quel puzzo maledetto che ti portavi addosso come seconda
pelle. Le
perdite per decessi durante il trasporto sono troppo elevate – più di otto
milioni di dollari l'anno. Ma
non ci vuole molto a immaginarsi perché sovraccarichiamo i camion di bestie. Costa
meno. Edwin
Cartwright, su Lancaster Farming, novembre 2001 Egr.
Dott. Marano, come
da lei richiesto, è stato mantenuto il massimo riserbo in merito all'infortunio
occorso al nostro dipendente in data odierna, evitando ulteriori dichiarazioni
alla stampa locale. Il comunicato ufficiale del direttore dello stabilimento,
che allego, ribadisce soltanto che l'incidente non è imputabile al mancato
rispetto delle norme di sicurezza da parte dell'azienda. Confermo
inoltre che non ci sono testimonianze oculari di quanto accaduto e che il
dipendente in questione, sig. Elvio Corazza, si trova tuttora in stato di
incoscienza nel reparto traumatologico dell'Ospedale di San Nicola. Nessuno
aveva notizie precise. L'ultimo che l'aveva visto, prima che lo caricassero
sull'ambulanza, era un addetto del reparto macellazione, che lo aveva sottratto
al braccio meccanico un attimo prima di ritrovarselo conficcato sui ganci
d'acciaio insieme alle altre carcasse. A quanto pare, perdeva molto sangue dalla
spalla destra. L'ipotesi era che Pigpicker® l'avesse confuso con una bestia e
piazzato sul nastro trasportatore del mattatoio, dove le cinghie avevano
completato il sequestro. Dato che come dimensioni non raggiungeva quelle di un
maiale, era riuscito a divincolarsi almeno in parte, così che la pistola,
invece di centrarlo alla nuca, lo aveva preso poco più sotto. Restava
da capire come fosse successo che Elvio Corazza finisse sul nastro. Alcuni
dicevano che c'era stato un guasto, che Pigpicker® si era bloccato, che Elvio
si era avvicinato per provare a farlo ripartire ed era stato catturato con mossa
fulminea. Altri non si spiegavano come mai Elvio non avesse urlato, come fosse
possibile che nessuno si fosse accorto di nulla. Forse Elvio aveva tentato un
sabotaggio, ma le macchine avevano avuto la meglio. Si diffuse persino la
notizia che Elvio avesse perso un braccio, nel tentare di divincolarsi, e che ci
fossero almeno un paio di braciole sospette, tra quelle prodotte dallo
stabilimento in quella giornata infausta. Altri sostennero che si trattava di un
tentato suicidio, estrema forma di protesta contro l'azienda, da parte
dell'unico operaio di nazionalità italiana impiegato in uno di quei lavori che
gli italiani non vogliono più fare. Altri ancora, diffusero la notizia di un
Elvio Corazza diventato animalista, stanco di compiere soprusi sulle povere
bestie, capace di tuffarsi sul nastro per salvare la vita a una scrofa dagli
occhi dolci, condannata a morte dopo venti giorni di non-attività. Girava pure
la voce che, prima di finire sul nastro del mattatoio, il povero Elvio fosse
passato dal settore fecondazione, ritrovandosi sodomizzato da una specie di
siringa per dolci, traboccante testosterone arricchito di maiale da monta. Ma
nemmeno di questo, esistevano prove certe. Bisogna considerare e
trattare le scrofe in età riproduttiva come preziosi ingranaggi di un congegno la
cui funzione è pompare fuori porcelli come una macchina per salsicce. J.L.Taylor,
in National Hog Farmer, luglio 2000 Egr. Dott. Marano, perdoni la schiettezza, ma mi
corre l'obbligo di informarla che il perdurare del silenzio stampa sul caso
Corazza, da parte dei responsabili dello stabilimento, sta producendo risultati
inattesi e quanto mai nocivi. Sulla dinamica dell'incidente, infatti, fin dalle
prime ore sono cominciate a circolare notizie infondate, false e tendenziose,
con versioni dell'accaduto prive di qualsiasi riscontro, volte per lo più a screditare l'azienda e a
presentare il Corazza volta per volta come martire, eroe popolare, ribelle
individualista, suicida per protesta, animalista convinto. A questo proposito, ritengo
che sarebbe più opportuno diffondere una
versione ufficiale su quanto avvenuto all'interno dello stabilimento. Essa
quantomeno potrebbe affiancare le molte dicerie e cercare di contrastarle con
una parvenza di obiettività. Giunti a questo punto, mi
pare l'unica mossa praticabile, poiché possiamo cucire bocche, bloccare notizie,
occultare filmati ripresi da telecamere interne, imporre il silenzio e censurare
le ipotesi, ma spegnere una leggenda, non mi sembra possibile. A
fine mese, la brigata animalista “Elvio Corazza” cercò di liberare i maiali
con un blitz notturno. Penetrati nel capannone principale, al momento di aprire
il recinto si accorsero che i porci non avevano alcuna intenzione di uscire dal
gabbio. Prima dell'introduzione di Pigpicker®, un simile evento significava una
sola cosa: mattatoio in vista. Una decina di grossi animali assalì i liberatori
e li mise in fuga. Nessuna delle bestie, quella notte, osò varcare l'ingresso
del recinto. La Fattorie Riunite, tuttavia, decise di dotarsi di una recinzione
a prova di assalto. Il cancello della ditta divenne anche il cancello di casa
nostra. Quel
giorno, nel sognare possibili strategie di annientamento del nemico, mi sorpresi
a pensare che se qualcuno avesse sganciato una bomba sulla Porcilaia, avrebbe
raso al suolo anche il rustico abitabile che ci avevano concesso in comodato.
Avrebbe fatto del sottoscritto o un cadavere o un vedovo o un disoccupato. Certo
non l'avrei mai sganciata io, quella bomba. E nemmeno l'avrebbero fatto quelli
fuori. “Fuori”
era soltanto un modo di dire. Basta
con la macellazione islamica e rituale. E'
incivile e provoca sofferenze inutili agli animali. Alessandro
Cè, capogruppo Lega Nord, Camera dei Deputati, Italia. Egr. Dott. Marano, in seguito alla costruzione
della barriera dissuasiva intorno allo stabilimento di Castel Buratto, ci siamo
visti costretti a dotare la famiglia del sig. Tomacek di una tessera a scansione
elettronica che consente di aprire i cancelli, passare i controlli
all'infrarosso e al metal detector, e accedere all'abitazione che si trova al
centro dei terreni di nostra proprietà. Tuttavia, temiamo che il sig.
Tomacek non sia sufficientemente affidabile per il privilegio che gli viene
concesso. Verificata l'impossibilità
di sfrattarlo in tempi brevi, suggeriamo di recintare anche la sua abitazione e
di costruire un sottopassaggio che gli permetta di accedervi, senza con questo
mettere a repentaglio la sicurezza dell'intero stabilimento. *** Quando
venimmo a stare qui, il nostro appartamento era circondato dai campi per tre
lati su quattro. La
vista sui pioppi e sul calare del sole ce la rubarono quasi subito. Pochi
giorni dopo il nostro arrivo, l'Associazione piccoli allevatori organizzò la
prima manifestazione di protesta
contro la Porcilaia di cui si abbia notizia. Si
radunarono in una mattina di nebbia, alle porte del paese, coi maiali al
guinzaglio e i cartelli nell'altra mano, e marciarono fino al Municipio su
stivali di gomma, pretendendo di incontrare il sindaco. Chiedevano un indennizzo
a spese del comune, che li risarcisse per le perdite subite a causa della
concorrenza della Fattorie Riunite. -
Quando che viene la grandine – spiegò uno dei dimostranti ai microfoni della
radio locale – e spappola la frutta che sta ancora sugli alberi, allora gli
agricoltori vengono, e chiedono che lo Stato gli dà una mano, perché hanno
avuto sfiga. E quando che a una famiglia ci nasce un figlio endicappato, allora
lo Stato ci dà una mano, perché anche loro hanno avuto una sfiga. Adesso anche
noi ce n'abbiamo una, e per di più ce l'han tirata addosso proprio loro, che se
a quelli della Porcilaia ci dicevano di no, noialtri eravamo ancora lì a
vendere i nostri maiali senza dar noia a nessuno, e se una scrofa ci metteva al
mondo meno porcelli, non stavamo certo qui a rompere le balle e a far la gnola.
Quindi insomma, che ci paghino, e la facciano finita. Le
trattative andarono avanti per diverse settimane, finché la Fattorie Riunite
non decise di rompere gli indugi. Fece un'offerta abbastanza appetibile,
esclusiva per gli allevatori della zona che avessero ceduto i loro capi entro la
fine del mese. Il Comune integrò, proponendo incentivi per la riconversione
degli allevamenti da suini a pollame. Uno dopo l'altro, gli allevatori finirono
per cedere. Entro fine mese non gli rimase neppure un maialino da portare a
passeggio la domenica mattina in Piazza Duomo. Da
parte sua, la Fattorie Riunite ottenne il permesso per costruire altri due
capannoni, portando così a seimiladuecento
il numero di esemplari di sua proprietà. Più
o meno a tutti, parve un buon risultato. Tranne
a noi. I due nuovi capannoni si infilarono tra i pioppi del fiume e la finestra
della camera. La puzza raddoppiò. Non c'era verso di farci l'abitudine. Mi
chiedevo come facessero i nostri compaesani. Certo, nessuno stava vicino quanto
noi al merdificio, ma la differenza non poteva essere così enorme. Su
tremilacinquecento persone, almeno cinque o sei con le narici ancora funzionanti
dovevano esserci. Era questione di statistica. Bisognava solo trovarle. -
Allora – propose Delvis dopo un'ora di confronto – Stampiamo tutto su un
volantino e domenica facciamo il banchetto. Cominciamo a raccogliere le firme e
tra un mese le portiamo dal sindaco. -
Bravo. E poi? Pensi che il sindaco gli dice di andar via? -
Intanto s'è fatta un po' di sensibilizzazione. Senza la sensibilizzazione... -
Quale sensibilizzazione? - lo incalzò Bonetti – Chi voleva sapere, è venuto
stasera. E non è che siamo a Milano, qua le notizie girano, tempo una settimana
lo sa tutto il paese. -
Io farei un blocco stradale – saltò su Miriam. E molte teste mostrarono il
loro accordo. -
Macché blocco stradale! Così dopo c'hai tutti gli automobilisti contro, anche
quelli che ti verrebbero dietro volentieri ma ci fai saltare i maroni quando che
devono andare a lavorare. -
E un sit in davanti ai cancelli? Cosa dite? Imponiamo uno sciopero dal basso
contro la puzza di merda, per la sicurezza sul lavoro e il reddito di
cittadinanza. -
Che cazzo c'entra il reddito di cittadinanza, Fabris? Una cosa per volta, dio
bono! -
A me non sembrava male l'idea di un boicottaggio – propose Corrado –
Smettiamo di mangiare carne di maiale, prosciutti e salamini per almeno un paio
di mesi.. -
Sì – lo interruppe Delvis – peccato che i prosciutti di Bonazzi non siano
fatti con questi maiali qui, e nemmeno le braciole del Bomba. -
Idea! - proruppe Gladys – Entriamo dentro di notte e liberiamo tutti gli
animali. Eh? -
Bella cazzata. Così poi ti vengono a dormire nel letto. -
Che tanto a far la troia ti ci trovi bene – mormorò un tale. -
A chi hai dato della troia? -
Dite quel che volete, ma a me il blocco stradale mi pare la cosa migliore: No ai
gas di scarico. Di qualunque genere. -
Fate star zitto quel coglione, dai. Io mi sveglio la mattina alle cinque per
andare nei campi e se trovo qualcuno che si mette in mezzo, faccio finta di
niente, vi avverto, tiro dritto e tanti saluti. -
Complimenti. Un applauso per il nostro nazista! Io piuttosto... Due
mesi dopo, cominciarono a costruire un capannone in cemento dove fino ad allora
si erano ammucchiate pile di barbabietole in attesa dello zuccherificio. Sulle
prime, pensammo si trattasse di un magazzino o qualcosa del genere, anche se le
dimensioni erano un po' eccessive. Scoprimmo presto che la Fattorie Riunite
stava costruendo in loco un mattatoio hi-tech, per ridurre i costi del trasporto
suino e gestire meglio tutta la baracca, dalla materia prima al prodotto finito. La
Porcilaia cresceva e si apprestava a raggiungere le diecimila unità. A
novembre, un anno esatto da quando ci eravamo insediati a Castel Buratto, si
completò l'accerchiamento, con altri sei capannoni sull'ultimo lato
disponibile. A
volo d'uccello, il nostro rustico abitabile poteva sembrare a tutti gli effetti
una delle unità produttive della Fattorie Riunite SpA. Ma di uccelli ne
volavano sempre meno, in quella fetta di cielo fetido e azotato. E
sempre meno ne volavano sopra il paese, perché l'aria non teneva conto di
recinzioni e filo spinato. I pochi rimasti potevano vedere camion carichi di
maiali percorrere a velocità sostenuta le strade comunali, e soprattutto la
Statale, che quanto a puzza non aveva molto da invidiare alla Porcilaia.
Potevano vedere i lavoratori della zona varcare i cancelli anti-assalto tutte le
mattine alle sette precise. Potevano vedere infiltrazioni del terreno e piogge
autunnali mettere in contatto il letame suino con l'acqua dei fiumi e farci
crescere la pfi-qualcosa, un microrganismo che uccide i pesci e rovescia
le budella agli umani. Potevano vedere i bambini del paese respirare una
sostanza velenosa chiamata acido solfidrico, mentre la maggior parte dei loro
genitori tirava a campare come se niente fosse. Potevano vedere il piscio dei
maiali diffondere nell'ambiente gli antibiotici usati per le bestie, e i batteri
della zona diventare super-resistenti grazie all'esposizione. Potevano vedere
che la Porcilaia, a pieno regime, succhiava centinaia di migliaia di litri
d'acqua ogni giorno. Potevano
vedere la Porcilaia e il Paese. “Fuori”
era soltanto un modo di dire. *** Egr.
Sig. Marano, le
confermo che diverse organizzazioni
sindacali e associazioni dei lavoratori hanno indetto per mercoledì 27 p.v. uno
sciopero di solidarietà col sig. Corazza e per la sicurezza sul posto di
lavoro. La partecipazione degli operai del nostro stabilimento sarà,
presumibilmente, totale. Cogliendo l'occasione, abbiamo deciso di sperimentare
la fase 3 del progetto di meccanizzazione dei cicli produttivi, che prevede la
totale assenza di personale all'interno dei capannoni. Sarà mia cura tenerla
prontamente informata sui risultati dell'esperimento. Io
e mia moglie non siamo mai stati in granaio, prima d'ora. E'
tardi. I ghiri rosicchiano la paglia del sottotetto. Impugno la torcia e faccio
scorrere il fascio di luce sui muri umidi e scrostati. Il
contatore della luce è lì, di fianco alla conduttura del camino. Mi
avvicino. La laurea in ingegneria elettronica potrebbe tornarmi utile, adesso. Smonto
la protezione in plastica e infilo il cacciavite tra i contatti giusti. Un
lampo. Poi buio. Egr.
Sig. Marano, mi
hanno appena comunicato che, causa un guasto sulla rete elettrica, ogni attività
all'interno dello stabilimento risulta bloccata. Fatto non troppo grave, se si
esclude che, fino al ripristino dell'erogazione di corrente, il sistema di
areazione e riciclo dell'aria non potrà funzionare, sottoponendo gli animali a
concentrazioni di acido solfidrico molto superiori alle massime consigliate. Pronto?
Pronto, Marisa, ti sento malissimo, ma se voi mi sentite, vado lo stesso.
Allora, sono qui davanti allo stabilimento della Fattorie Riunite, insieme ad
almeno diecimila persone provenienti da tutta la provincia. Alla protesta
sindacale per la sicurezza sul lavoro, si sono aggiunti molti altri soggetti. Le
associazioni dei consumatori protestano per i mancati controlli da parte della
ditta sull'eventuale presenza di carne umana tra le braciole prodotte il giorno
dell'incidente. Gli animalisti chiedono la scarcerazione dei quattro esponenti
della Brigata “Elvio Corazza”. I comitati ambientalisti sostengono di aver
scoperto che i miasmi da porcilaia possono indurre gravi forme depressive, sul
genere di quella che avrebbe spinto Elvio al
presunto tentato suicidio. “A ciascuno la sua Corazza”,
recita uno degli striscioni appesi al recinto qui davanti. Ma
la cosa più incredibile è che da un paio d'ore la puzza tremenda prodotta
dalla Porcilaia si sta lentamente affievolendo. Prima sembrava solo
l'impressione di pochi, ma ora ne abbiamo la certezza. E sinceramente, c'eravamo
dimenticati che fosse possibile respirare un'aria così salubre, e distinguervi
odori di terra, alberi ed erba bagnata. Ancora non si è capito come possa
essere successo, ma c'è chi si dice convinto che tante persone insieme,
respirando all'unisono, possono depurare qualsiasi fetore. In attesa di saperne
di più, vi lasciamo col beneficio del dubbio e invitiamo tutti i San Tommaso ad
aprire le finestre di casa e a toccare con mano, o a raggiungerci qui, per
unirsi a questa straordinaria depurazione collettiva. Visti
dall'alto sono uno spettacolo. La torretta del rustico abitabile offre un colpo
d'occhio a trecentossessanta gradi sulla folla che circonda lo stabilimento,
ancora molte ore dopo lo scioglimento ufficiale del corteo, mentre l'ultima luce
del giorno accarezza i contorni delle nuvole. Forse
hanno deciso di godersi l'aria buona il più a lungo possibile, sapendo che da
un momento all'altro l'incantesimo potrebbe svanire. Prima o poi, la puzza
tornerà. Dal canto nostro, continueremo a far saltare la luce finché non ci
scopriranno. Giusto per alimentare il ricordo. Non
posso fare a meno di sognare l'ennesima strategia di annientamento del nemico.
Chiudo gli occhi, e vedo la gente sfondare la recinzione, priva dell'elettricità
che la percorre di solito, raggiungere i capannoni, trovare il modo di entrare.
Sono almeno diecimila, dice la radio. Basterebbe che ciascuno adottasse un
maiale, se lo portasse a casa con un bel guinzaglio e se ne prendesse cura. Dove
metterlo non sarebbe un grosso problema: qui in campagna abbiamo un sacco di
spazio. Poi, magari, chi può permetterselo potrebbe pure pagare. In
alternativa, si può decidere di staccare l'elettricità in tutta la zona e
cenare sempre a lume di candela e trovarsi intorno al fuoco a cantare le ballate
di Elvio Corazza. In
alternativa, non so, ci verrà in mente qualcos'altro. Al
momento, tutto sembra possibile. ©
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